Contratti dei consumatori e coronavirus: trasporti, viaggi, palestre ed eventi

Premessa

La situazione di emergenza sanitaria in atto ed i provvedimenti di carattere straordinario emanati negli ultimi sessanta giorni dal Governo per contenere la diffusione del Covid – 19 , hanno imposto limiti via via più stringenti sia alla libertà di movimento delle persone, sia all’operatività delle aziende e delle attività commerciali, limiti che in via graduale ma poi in modo pressoché totale (salvo che per i beni e i servizi essenziali) si sono tradotti nell’impossibilità (o comunque nella difficoltà) per tante imprese ad adempiere ai propri obblighi contrattuali e al tempo stesso per gli stessi consumatori di fruire di prestazioni e servizi previamente acquistati.

Tali misure, confermate, salvo minime aperture, anche dall’ultimo DPCM del 26 aprile 2020 quantomeno sino al 18 maggio 2020, seppur doverose ed indispensabili per tutela della salute pubblica, hanno avuto e continueranno ad avere una importante ricaduta sul sistema sociale avendo imposto, tra le altre cose, il divieto di tutti i trasferimenti non giustificati da motivi di salute o situazioni di necessità ed urgenza, il rinvio o l’annullamento di eventi culturali, sportivi, di corsi, manifestazioni organizzate di vario genere nonché la chiusura di palestre, teatri, e altri luoghi di aggregazione.

È lecito, quindi, domandarsi, tanto dal punto di vista del consumatore, quanto dal punto di vista dell’esercente lo specifico servizio che non può essere fornito, quali obblighi permangano in capo a ciascun contraente, quali siano le eventuali responsabilità e, non ultimo, soprattutto per i contratti in corso di esecuzione nei quali il sinallagma non si è ancora realizzato, se e in quale misura sia configurabile un diritto/dovere di rimborso di quanto eventualmente già versato a titolo di corrispettivo.

Sul tema, si deve evidenziare che la decretazione d’urgenza è intervenuta in più riprese nel tentativo di contemperare le contrapposte esigenze delle parti contrattuali, da un lato prevedendo specifici rimedi per determinati rapporti contrattuali, dall’altro dettando disposizioni di più ampio respiro volte a specificare ed attualizzare principi e regole già contenuti della disciplina codicistica in materia di obbligazioni.

Il rispetto delle misure di contenimento come parametro di valutazione dell’imputabilità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1218 e 1223 del codice civile

Sotto tale ultimo profilo, prima di entrare nel merito delle disposizioni speciali dettate dal legislatore, deve richiamarsi l’attenzione sull’art. 91, comma 1, del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 con il quale è stato inserito il comma 6 bis all’art. 3, del decreto legge del 23 febbraio 2020 n. 6, a mente del quale: «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi pagamenti”.
Si tratta di una disposizione dettata specificamente per i contratti pubblici – ma ritenuta pacificamente applicabile anche nell’ambito dei rapporti di natura privatistica vista la sua portata generale – che, nel richiamare il fondamentale principio espresso dal combinato disposto di cui agli artt. 1218 e 1223 del codice civile secondo il quale “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, ha introdotto un nuovo parametro alla luce del quale deve essere valutata l’imputabilità dell’inadempimento.

Il parametro del «rispetto della misura di contenimento» costituisce, pertanto, una causa di giustificazione ex lege che può rendere scusabile il ritardato o il mancato adempimento delle obbligazioni, a condizione però che questo sia conseguenza del rispetto delle misure autoritative per il contenimento dell’epidemia (factum principis) e che abbia reso effettivamente impossibile, definitivamente o temporaneamente, l’esecuzione della prestazione.

Non ogni difficoltà o impedimento del debitore (ad esempio di liquidità), seppur connesso alla particolare situazione di emergenza che stiamo vivendo, tuttavia, rileva al fine descritto, ma solo l’impossibilità derivante dall’applicazione del sopravvenuto provvedimento dell’autorità (decreti, ordinanze regionali o comunali ecc..) che impedisca allo stesso di eseguire la prestazione dedotta nell’obbligazione.

La giurisprudenza precisa, inoltre, che l’impossibilità dell’adempimento dovuta all’emanazione di tali provvedimenti non potrà comunque essere invocata se nel momento in cui il contratto è stato concluso l’intervento governativo era prevedibile e il debitore non si sia adoperato per cercare un rimedio lecito che gli permettesse di eseguire, anche in altra maniera, la propria prestazione.

Solo in presenza di tali presupposti potrà configurarsi, infatti, un’impossibilità giuridica della prestazione che, a seconda che sia definitiva ovvero solo temporanea, determinerà rispettivamente l’estinzione dell’obbligazione ovvero l’esenzione da responsabilità per il ritardo ai sensi dell’art. 1256 del codice civile.

Deve precisarsi che nel caso di impossibilità temporanea l’art. 1256 c.c. si limita ad escludere, finché detta impossibilità perdura, la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento.

Resta fermo, pertanto, anche nella attuale situazione di emergenza il principio generale che impone al debitore, cessata l’impossibilità, di eseguire la prestazione, salvo che il creditore non abbia più interesse a conseguirla.
Ciò che è importante in ogni caso precisare è che il rispetto della misura di contenimento non comporta alcun automatismo nè la liberazione “a priori” del debitore dall’obbligo di risarcimento del danno da ritardo o mancato adempimento, dovendosi comunque accertare da parte del Giudice – alla cui «valutazione» il comma 6-bis introdotto dall’art. 91 del decreto “Cura Italia” rimette la verifica caso per caso dell’imputabilità o meno dell’inadempimento – se per effetto dell’adeguamento a siffatte misure, e nonostante l’impiego della buona fede e dell’ordinaria diligenza ai sensi dell’art. 1175 del codice civile, la prestazione cui era tenuto sia divenuta impossibile.

In tal caso, e solo in tal caso, la misura di contenimento potrà essere ritenuta legittima causa di esenzione da responsabilità e, come detto, comportare l’estinzione dell’obbligazione ovvero configurarsi, in caso di impossibilità non definitiva, come causa legale di sospensione dell’adempimento consentendo al debitore di sospendere legittimamente il proprio adempimento a causa dell’osservanza delle misure di contenimento, e per tutta la durata di queste.

Del pari se il debitore, per l’osservanza delle misure contenitive, non è incorso in un inadempimento «imputabile» ed è coperto da una causa di giustificazione legislativamente tipizzata, dovrà escludersi la possibilità per il creditore di agire per l’adempimento ex art. 1453 c.c.

I principi applicabili in materia di contratti a prestazione corrispettive 

Precisate le considerazioni che precedono, occorre a questo punto verificare come e se le stesse incidano nell’ambito dell’esecuzione dei contratti a prestazioni corrispettive, ed in particolare, per ciò che rileva nella presente sede, nella fase di esecuzione dei contratti di ospitalità alberghiera, di trasporto aereo, ferroviario e marittimo e più in generale di quei contratti aventi ad oggetto attività sportive, ludiche, ricreative e culturali con riferimento ai quali – ferma restando la non imputabilità dell’inadempimento del fornitore dello specifico servizio in presenza dei presupposti sopra enunciati – occorre necessariamente contemperare tale esenzione con la contrapposta esigenza di tutela del consumatore che per detto servizio abbia già corrisposto in tutto o in parte il relativo corrispettivo.
Al riguardo non si rinvengono nella decretazione d’urgenza delle regole di carattere generale anche se dall’esame delle disposizioni specificamente dettate relativamente a singole fattispecie contrattuali che andremo a breve ad illustrare, può desumersi un chiaro orientamento in favore dei principi codicistici dettati in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1463 del codice civile o di eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c. che potrebbero trovare applicazione anche al di fuori dei casi espressamente disciplinati.
Non vi è dubbio, invero, che l’emergenza epidemiologica in atto ed in provvedimenti restrittivi conseguentemente adottati dal legislatore, integrino i presupposti elaborati a livello giurisprudenziale per l’applicazione del rimedio della risoluzione di diritto per sopravvenuta impossibilità, trattandosi di impedimento oggettivo, connesso ad un evento straordinario improvviso ed imprevedibile.

Laddove, pertanto, l’osservanza della misura di contenimento comporti, nonostante l’uso della diligenza dovuta e la buona fede, l’impossibilità totale della prestazione prevista nell’ambito di un contratto con prestazioni corrispettive, l’obbligazione si estinguerà ai sensi dell’art. 1463 del codice civile, ma la parte liberata non potrà evidentemente domandare la controprestazione ed anzi dovrà restituire quella che abbia eventualmente già ricevuto così da scongiurare situazioni di indebito arricchimento.

Qualora invece la prestazione fosse solo parzialmente impossibile, il contratto tendenzialmente non dovrebbe estinguersi potendo il debitore liberarsi eseguendo la parte possibile, fermo restando però il diritto del creditore a pretendere una riduzione, oppure a recedere laddove non abbia un interesse all’adempimento parziale (art. 1464 c.c.).

Deve ritenersi, infine, che nei contratti di durata o ad esecuzione differita,  laddove i provvedimenti restrittivi legati alla pandemia abbiano comportato non l’impossibilità della prestazione ma una sua eccessiva sopravvenuta onerosità, ovviamente non imputabile al debitore, questi potrà domandare la risoluzione del contratto  ai sensi dell’art. 1467, commi 1 e 2, c.c..

Si tratta anche in questo caso di una misura che comporta la caducazione del rapporto obbligatorio, contemperata tuttavia dalla possibilità di evitare lo scioglimento, attraverso l’offerta di riconduzione del contratto ad equità (art. 1467, comma 3, c.c.).

Sulle singole disposizioni dettate dalla decretazione d’urgenza con riferimento a talune tipologie di contratto a prestazioni corrispettive

In applicazione dei principi esposti nella superiore espositiva muovono le recenti previsioni legislative trasfuse nei decreti legge del 2 e 9 marzo 2020.

 

Con specifico riferimento ai contratti di trasporto (aereo, ferroviario, marittimo) l’art. 28 del decreto legge del 2 marzo 2020 n. 9, ha espressamente previsto la risoluzione di tali contratti, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1463 del codice civile, per sopravvenuta impossibilità della  prestazione riconoscendo in capo al viaggiatore il diritto alla restituzione del corrispettivo versato per l’acquisto del titolo di viaggio ovvero all’emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall’emissione.
La procedura prevede che il rimborso dovrà essere richiesto entro 30 giorni dalla data prevista per la partenza, allegando la documentazione richiesta (ad esempio il titolo di viaggio) e dovrebbe essere evasa dal vettore entro i quindici successivi.

Deve presumersi che tale disciplina, originariamente dettata sino al 4 maggio 2020, rimarrà invariata anche per il periodo successivo, quantomeno sino al 18 maggio 2020, atteso che il nuovo DPCM del 26 aprile 2020, adottato per disciplinare la cosiddetta “fase 2”, ha mantenuto sostanzialmente immutato il sistema delle precedenti restrizioni di movimento prevedendo che “Sull’intero territorio nazionale sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute, e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie; in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Per la sorte dei contratti di viaggio con partenze programmate successivamente al 18 maggio 2020, invece, al momento è difficile fare previsioni, potendo verosimilmente il prossimo decreto prevedere delle aperture in relazione alla libertà di spostamento delle persone, anche da una regione all’altra o addirittura all’estero, tali da non legittimare più ovvero legittimare in modo diverso il diritto del viaggiatore al rimborso del corrispettivo.

In ogni caso, teniamo a mente che, laddove dovessero venir meno i divieti di movimento per motivi sanitari imposti dalla normativa speciale, troverebbe nuovamente applicazione la disciplina generale dettata dal Regolamento (CE) n. 261/2004.

Per quanto concerne i “pacchetti turistici tutto compreso”, il medesimo art. 28 del decreto legge 2 marzo 2020 n. 9 al comma 5 riconduce tale fattispecie contrattuale nell’alveo di applicazione dell’art. 41 del Codice del Turismo che riconosce la possibilità di recedere dal contratto con facoltà per l’organizzatore di offrire al viaggiatore un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore oppure procedere al  rimborso (nei termini previsti dai commi 4 e 6 dell’articolo 41 del Codice).

Anche in questo caso come per i titoli di viaggio è prevista la possibilità di emettere un voucher da utilizzare entro un anno dall’acquisto del pacchetto.

Anche per questo genere di vacanze, se previste per i prossimi mesi (ad esempio viaggi estivi), occorre attendere non consentendo allo stato la normativa speciale di disdire, con le medesime garanzie, pacchetti programmati per la data successiva al 18 maggio 2020.

Per espressa previsione dell’art. 88 del decreto del 17 marzo 2020 n. 18, cosiddetto decreto cura-Italia (art. 88), le disposizioni di cui all’articolo 28 del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9 si applicano anche ai contratti di soggiorno da svolgersi entro il 4 maggio 2020 e per i quali, in seguito all’adozione delle misure restrittive previste dal governo, si sia verificata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Ne consegue che chi aveva prenotato in tale periodo un albergo o un soggiorno presso similare struttura ricettiva, ha diritto alla restituzione delle somme versate.

L’albergatore, pertanto, non può trattenere l’anticipo o la caparra, non essendo il consumatore inadempiente ed essendo il viaggio vietato dalla legge. Tale disciplina dovrebbe essere estensibile anche alle prenotazioni di alberghi o strutture per motivi di lavoro o per la partecipazione specifici eventi (per esempio la partecipazione ad un concorso, ad una specifica manifestazione sportiva o culturale) che siano stati annullati sempre in conseguenza delle misure restrittive.

In questi casi, si potrebbe fare ricorso alla c.d. presupposizione, istituto non codificato che si identifica con quella specifica situazione di fatto che entrambi i contraenti, pur non menzionandola esplicitamente, hanno considerato come presupposto fondamentale del loro rapporto contrattuale.

L’articolo 88, comma 2, del decreto legge del 9 marzo 2020 n. 18, come prorogate dal decreto Legge del 10 aprile 2020, estende la disciplina già prevista in materia di titoli di viaggio anche ai contratti di acquisto di biglietti per la partecipazione agli eventi che sono stati oggetto di sospensione su tutto il territorio ad opera del D.P.C.M. 08.03.2020, nonché ai titoli di accesso a musei e agli altri luoghi della cultura.

 

L’ambito di applicazione della norma citata è piuttosto ampio e ricomprende manifestazioni di vario genere, indipendentemente dal luogo in cui si tengono (suolo pubblico o privato), ivi compresi i biglietti di accesso ai luoghi della cultura diversi dai musei, quali aree archeologiche, biblioteche, archivi, parchi archeologici e complessi monumentali.

Anche in questo caso, la norma prevede che ricorra “la sopravvenuta impossibilità della prestazione” ai sensi dell’art. 1463 del codice civile a causa delle misure restrittive che vietano la possibilità di svolgimento degli eventi, con conseguente risoluzione del contratto e obbligo per il venditore di emettere un voucher di importo corrispondente al titolo acquistato.

A differenza di quanto previsto dalla disciplina ordinaria però, la cui applicazione determinerebbe direttamente il rimborso del corrispettivo percepito dal cedente, si prevede la ripetizione del prezzo corrisposto mediante l’attribuzione di un buono per l’acquisto di una prestazione di valore equivalente probabilmente anche al fine di non aggravare la delicata situazione finanziaria degli operatori del settore.

Il divieto di circolazione delle persone e di assembramento ha ovviamente determinato anche la sospensione di qualsiasi di corso (di lingua straniera, musica, cucina, scuola guida, etc.), così come l’accesso a palestre, centri sportivi, piscine, centri benessere, terme centri culturali, centri ricreativi e scuole di ballo.

In relazione a tali tipologie di contratto non è stata dettata una disciplina specifica nei decreti d’urgenza, ma può ritenersi che alle stesse possano applicarsi in via analogica i principi generali sinora illustrati in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione, con particolare riferimento all’impossibilità parziale.

In linea di massima, infatti, i contratti in commento sono ad esecuzione continuata e prevedono da parte del consumatore il pagamento di una retta o abbonamento mensile.

A fronte dell’interruzione del servizio, pertanto, il consumatore dovrebbe avere diritto di interrompere i pagamenti e, se avesse versato degli anticipi come nel caso di abbonamenti trimestrali o annuali, dovrebbe poter chiedere la restituzione delle somme versate limitatamente al periodo in cui non ha potuto fruirne.

Analoghe considerazioni dovrebbero valere per quanto concerne l’abbonamento stagionale o skipass acquistato per la stagione invernale sciistica e per gli stadi, configurandosi a carico delle rispettive società l’onere di restituire le quote dell’abbonamento relative al periodo di chiusura degli impianti sciistici ovvero alle singole partite non disputate o giocate a porte chiuse.

Deve infine evidenziarsi che sempre più spesso gli operatori, verosimilmente al fine di limitare l’aggravio economico derivante dall’obbligo di rimborso, stanno proponendo dei correttivi come per esempio l’attivazione di corsi a distanza (si pensi ai corsi di cucina, di lingua straniera, che possono continuare a svolgersi online) oppure il “congelamento” degli abbonamenti a centri sportivi, piscine ecc.. per poi riattivarli a emergenza finita.

In entrambi i casi si può ritenere che il consumatore resti libero di accettare o meno la proposta alternativa di fruizione del servizio, potendo per ipotesi non avere l’organizzazione informatica per seguire corsi a distanza o non avere l’interesse a prolungare la frequentazione del centro sportivo.

In caso di rifiuto, pertanto, il consumatore dovrebbe poter conservare il diritto al rimborso nei termini sopra descritti.

L’uso del condizionale, tuttavia, è d’obbligo in quanto l’operatore potrebbe opporre la presenza nel contratto di clausole volte a limitare le possibilità di recesso o la ripetizione di quanto anticipatamente pagato magari in virtù del fatto che si è usufruito di un particolare sconto o promozione non rimborsabile.

Ciò riguarda ad esempio gli abbonamenti di alcune squadre di calcio nei quali spesso risultano inserite delle clausole volte ad escludere o limitare le responsabilità delle società in caso di partite disputate a porte chiuse.

A tal proposito, deve dirsi che l’Antitrust ha avviato un procedimento istruttorio volto a verificare la legittimità delle clausole, ritenute vessatorie, in quanto sarebbero in contrasto con gli artt. 33 e 36 del Codice del Consumo.

Per tali motivi, sarà sempre e in ogni caso opportuno, prima di intraprendere azioni o dare vita dei contenziosi, verificare nel concreto quali clausole siano state inserite nel contratto sottoscritto con l’operatore al fine di verificarne la validità e l’effettiva opponibilità al consumatore.
Avv. Carla Caria
Avv. Alessandro Marras
Il presente documento ha valore puramente divulgativo e non costituisce parere professionale in merito agli argomenti trattati.
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