Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e part time

La richiesta di modifica dell’orario di lavoro non può essere l’unica motivazione posta a fondamento del provvedimento espulsivo

La Corte di Cassazione con una recente pronuncia (ordinanza pubblicata in data 30.10.2023) ha statuito un importante principio di diritto nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nell’ipotesi di lavoratore assunto con contratto part time.

La lavoratrice – assistita dagli avvocati dello studio Macciotta & Associati – impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo in data 31.05.2011 intimato da un’azienda operante nella grande distribuzione a seguito del rifiuto da parte della ricorrente di accettare la modifica della collocazione dell’orario di lavoro part time propostole dalla datrice di lavoro.

Dopo l’esito negativo del primo e del secondo grado di giudizio, la lavoratrice proponeva ricorso per cassazione e gli Ermellini, con una motivazione esaustiva e ineccepibile, statuivano i seguenti principi di diritto.

In primis, che la richiesta di modifica totale dell’orario di lavoro originariamente pattuito tra le parti non può essere l’unica ragione – esclusiva ed autosufficiente – su cui si fonda il provvedimento espulsivo per giustificato motivo oggettivo, poiché ciò comporterebbe la cancellazione di fatto della protezione legale che consente al lavoratore di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale di cambiamento dell’orario di lavoro (giusto quanto statuito dagli articoli 2, comma 2 – articolo 3, commi 3, 7, 8, 9 e 11 – articolo 5 del D. Lgs. n. 61/2000 nonché dall’art. 13 del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro settore Commercio).

Fermo quanto sopra, la Suprema Corte – in un’ottica di bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco – ha, altresì, precisato che, tuttavia, neppure può essere precluso al datore di lavoro il legittimo esercizio del diritto di recesso quando il rifiuto alla proposta di trasformazione entri in contrasto con le ragioni di carattere organizzativo che possono integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

In tale ottica la Suprema Corte ha statuito anche l’ulteriore principio di diritto secondo il quale il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare non solo la sussistenza delle esigenze economico-organizzative, in base alle quali la prestazione oraria precedente non può essere più mantenuta, ma altresì il nesso causale tra le predette esigenze e il licenziamento, dovendo egli dimostrare che non esistono ulteriori soluzioni occupazionali (o altre alternative orarie) rispetto a quelle prospettate al lavoratore e poste alla base del licenziamento.

Ciò vale, in particolare, in un’area, quale quella del part time, sottoposta ad una rigorosa regolamentazione normativa, ove la scelta datoriale deve tenere conto delle particolari esigenze sociali che sono a fondamento della stessa. Solo l’adempimento dell’onere della prova nei termini poc’anzi delineati è idoneo a garantire un equo contemperamento degli interessi delle parti che risultano regolati pattiziamente nella disciplina oraria del part time.

Infine, viene enunciato anche l’ulteriore principio di diritto secondo il quale deve sussistere l’impossibilità di un ripescaggio aliunde che deve essere dimostrato in giudizio dal datore di lavoro, la cui condotta – al pari di quella del lavoratore – deve comunque essere improntata e, dunque, valutata, alla luce delle clausole generali di correttezza e buona fede, le quali possono costituire utile parametro per un controllo sulla discrezionalità gestionale del datore di lavoro.

Nel caso di specie – ad avviso della Suprema Corte – il licenziamento intimato non rispondeva ai principi fin qui evocati, posto che nulla si dice nella sentenza impugnata in ordine al fatto che, oltre a non potersi mantenere lo schema dell’orario precedente, non esistesse un altro orario diverso che potesse essere offerto come valida alternativa al licenziamento.

Va piuttosto posto in evidenza – soggiunge la Corte – come nella causa risulti, al contrario, l’esistenza di flessibilità e di alternative occupazionali, atteso che, dopo la proposta di modifica dell’orario di lavoro non accettata dalla lavoratrice e posta alla base del suo licenziamento, le parti avevano tra loro concordato, nel mese precedente il licenziamento, un orario di lavoro diverso da quello originario, con mantenimento del rapporto di lavoro.

Avv. Sonia Ciampi
Avv. Cinzia Mazza

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