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Nel contesto emergenziale che ha inginocchiato il Paese a far data dal 31 gennaio 2020 la maggior parte degli italiani si è vista rapidamente costretta a convivere con lo smart working, modalità di articolazione flessibile dello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato con riferimento al tempo e al luogo di svolgimento della prestazione.
Lo smart working, anche detto “lavoro agile”, è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n. 81/2017 che all’art. 18 prevede, appunto, la possibilità, a seguito di accordo tra le parti, di eseguire la prestazione lavorativa in parte nei locali aziendali e in parte al di fuori, senza una postazione fissa, senza vincoli di orario e di luogo e con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici.
L’attività di lavoro rimane, in ogni caso, soggetta al potere organizzativo, direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro.
Con l’avvento della pandemia lo smart working è stato fortemente incentivato dal Governo ed in particolare mediante i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 e del 25 febbraio 2020 per le prime zone rosse, nonché con quelli successivi del 1°, del 4 e dell’8 marzo 2020 per l’intero territorio nazionale, attraverso il Protocollo sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro sottoscritto tra il Governo e le Parti Sociali del 14 marzo 2020 ed infine con il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 cosiddetto “Cura Italia”.
Tuttavia lo smart working utilizzato in piena emergenza sanitaria non ha (quasi) nulla a che vedere con l’istituto disciplinato dalla L. n. 81/2017 poiché, nell’ottica di trovare una strada per consentire la continuazione delle prestazioni di lavoro in forme tali da evitare il rischio del contagio, è sorta la superiore esigenza di contrarre al massimo le complessità insite nell’utilizzo dello strumento in commento.
A titolo esemplificativo, è venuto meno l’obbligo di sottoscrizione dell’accordo prescritto dall’art. 19 della L. n. 81/2017 recante la disciplina dell’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore.
Più nello specifico è l’art. 21 della L. n. 81/2017 ad aver introdotto il tema del potere di controllo e disciplinare nell’ambito dello smart working, attribuendo all’accordo il compito di disciplinare l’esercizio di tale potere con riferimento allo svolgimento della prestazione all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. del 20 maggio 1970, n. 300).
L’accordo serve, oltremodo, alle aziende per individuare le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
Tuttavia, la possibilità concessa ai datori di non addivenire ad alcun accordo individuale ha impedito agli stessi di dettagliare clausole specifiche funzionali a prevenire e contrastare eventuali condotte disciplinarmente rilevanti da parte dello smart worker (utilizzo del computer personale per l’esercizio della prestazione lavorativa, i rischi connessi al luogo di lavoro, l’accessibilità a server da remoto, etc.).
Dunque, in un’ottica di massima prudenza, se l’azienda ne ha la possibilità, la stipula dell’accordo è comunque caldamente consigliata in modo tale che possano essere organicamente disciplinati:
i. il rispetto degli orari di lavoro, con il diritto-dovere dei dipendenti alla disconnessione;
ii. l’utilizzo degli strumenti elettronici aziendali o personali, mediante adozione o richiamo a idonee policy aziendali;
iii. l’esercizio del potere direttivo, anche in modalità da remoto;
iv. l’esercizio del potere di controllo, anche in modalità da remoto;
v. ulteriori ipotesi di infrazioni disciplinari commesse in lavoro agile, che consentano al datore di lavoro di utilizzare il proprio potere disciplinare.
Diversamente, fermi gli obblighi di cui alla L. n. 81/2017 – da interpretare alla luce dei CCNL applicabili al singolo caso di specie – è evidente che in assenza di specifica regolamentazione sarà più complesso comprendere come dovrà comportarsi il datore nell’ipotesi in cui il lavoratore inadempiente, ipotizziamo, ritardi o addirittura ometta di partecipare ad una conference call, ovvero visiti siti internet al di fuori di quello aziendale, non osservi le pause ovvero ometta di disconnettersi raggiunto il limite massimo di ore di lavoro.
Alla luce delle rilevate incertezze è indubbiamente ragionevole che nonostante l’esonero dall’obbligatorietà di stipula dell’accordo individuale le aziende inizino ad organizzarsi al fine di predisporre delle policy adeguate ovvero dei regolamenti interni strutturati ad hoc al fine di scongiurare potenziali contenziosi.
In via esemplificativa, le aziende potranno iniziare a regolamentare i principali obblighi di datore e lavoratore rispetto alla protezione dei dati, alla custodia delle strumentazioni informatiche date in dotazione per lo svolgimento della prestazione lavorativa, ovvero alle modalità di utilizzo di dispositivi personali per accedere da remoto alla propria postazione.
Ed infatti, uno dei problemi che potrebbe porre l’effettuazione della prestazione da remoto è quello della violazione dei segreti industriali.
Altra criticità afferisce alla possibilità di installazione da parte dello smart worker di software e/o applicativi sul personal computer aziendale, ovvero su quello personale utilizzato per lo svolgimento della prestazione lavorativa, che interferiscano con lo svolgimento regolare della stessa.
Potrebbe, altresì, essere utile concordare con il lavoratore delle fasce orarie entro le quali vige l’obbligo di connessione (e di disconnessione), ovvero lasciare ampia libertà in tal senso allo smart worker che, comunque, dovrà garantire la quantità di ore di lavoro concordata a fronte dell’emergenza epidemiologica.
È evidente che maggiore sarà la precisione con la quale verranno individuate le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro in smart working, quanto più sarà semplice per il datore riconoscere le condotte disciplinarmente rilevanti e per il lavoratore i limiti entro i quali operare legittimamente.
In ogni caso, mutando esclusivamente la modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, il potere disciplinare del datore di lavoro, anche in assenza provvisoria di regolamentazione, potrà-dovrà comunque essere esercitato nei confronti dello smart worker tenendo conto delle condotte già individuate dai CCNL di riferimento, delle peculiarità dello strumento in esame e del contesto emergenziale che ha colpito l’intero Paese.
Avv. Cinzia Mazza
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